Concreta 2008: sei espressioni della scultura ceramica contemporanea
di Franco Bertoni
 
 
Nel Palazzo Pretorio di Certaldo si rinnova un appuntamento con la ceramica contemporanea d'autore che, secondo il progetto del curatore Gian Lorenzo Anselmi in collaborazione con Pietro Elia Maddalena, ha come scopo non secondario quello di mettere a confronto le espressioni più recenti di riconosciuti maestri della ceramica italiana e internazionale con le “stanze” di un luogo intriso di memorie e di storia.
Destino, questo, tipicamente italiano che viene accettato ed, anzi, esaltato, al fine di sfuggire dall'ormai omologata e standardizzata presentazione delle opere in asettiche gallerie ormai simili in qualsiasi parte del mondo. Con un certo coraggio editoriale, le opere vengono fotografate solo dopo la collocazione in sito e il catalogo viene pubblicato necessariamente a mostra già inaugurata. Richiamandosi felicemente a più o meno antiche formule espositive, spesso dettate dalla necessità, si viene a dare un particolare rilievo all'evento e a suggerire la possibilità di un confronto tra le espressioni d'arte contemporanea con la storia.
L'arte moderna è stata per gran parte il risultato di un lavoro individuale e d'atelier: le sono mancate le grandi commissioni pubbliche e sono venuti a cessare quei condizionamenti religiosi o politici che pur avevano permesso ai grandi artisti di raggiungere vette eccelse proprio osservando o contrastando le ideologie dominanti. Relativamente all'Italia non è questa la sede per una serena valutazione di quanto è successo a questo proposito tra le due guerre (Martini e Sironi, comunque, rimangono) e dell'infausto destino della cosiddetta legge del due per cento che nel secondo dopoguerra ha favorito un ormai scomparso rapporto tra architettura e scultura, soprattutto. Secondo un percorso obbligato, l'opera d'arte ha transitato dallo studio dell'artista alla galleria d'arte e all'ambiente privato con meta finale privilegiata e auspicata il museo, anche per le combattive e agguerrite avanguardie. Un percorso in qualche modo soporifero e indolore che, per alcuni critici, ha coinciso con una sorta di necrosi generale di cui proprio il museo è l'espressione cimiteriale più imponente. Separandosi dal cuore pulsante della vita quotidiana, l'arte moderna ha perso idealità, è risultata incomprensibile ai più, attivando un ricorso alla critica mai prima registrato, ed ha notevolmente contribuito in prima persona a un suo destino mercantile che, oggi più che mai, rappresenta l'unico metro di valutazione universalmente adottato.
Una concezione che ha coinvolto anche l'arte antica.
In pochi si sono autorevolmente opposti al transito della Madonna del Parto di Piero della Francesca dalla primitiva, poetica collocazione nella campagna toscana in un anonimo edificio scolastico come nessuno sembra rendersi conto che le file alle biglietterie dei complessi ecclesiastici più importanti non sono tanto l'espressione di una feconda acculturazione di massa quanto piuttosto di una privazione inflitta alle nuove generazioni.
Non posso non ricordare, a questo proposito, una lontana esperienza giovanile che ha, in qualche modo, segnato i miei futuri interessi e una disponibilità a innescare continui dialoghi tra l'arte moderna e quella antica, senza soluzione di continuità. In un tardo pomeriggio estivo, un piccolo, bistrattato cartello mi segnalava, sulla dorsale di un poggio toscano un'opera del Sodoma. La meta, raggiunta percorrendo un crinale ombreggiato da cipressi, fu un piccolo complesso conventuale abitato da agricoltori. Nella sala capitolare - un semplice, austero ambiente quasi scatolare - i contadini avevano disteso, affinché si seccassero, le divelte piante dei fagioli da battere. Tutto il pavimento era ricoperto da questa vegetazione scricchiolante sotto i passi e emanante i profumi della terra e della polvere. Sul fondo l'affresco del Sodoma: una Crocefissione di grandi dimensioni, quasi cinematografica, che occupava l'intera parete. Certamente apprezzai l'opera antica ma ancor di più quello strano modo di avvicinarla con passi incerti su arbusti e foglie secche che mi ricordavano gli allestimenti dell'Arte Povera. In questa inusuale compresenza di arte e natura, percepii una superiore dose di “presenza” dell'antico e di quanto intesi come moderna possibilità di espressione artistica. Per un attimo, avvertii i sensi di un messaggio che invitava a soprassedere a categorizzazioni, a schematizzazioni e a intellettualismi. Paesaggio, architettura, antica pittura murale e moderne ipotesi trovavano, singolarmente, una unità. Fu una vera e propria esperienza, al tempo stesso fisica e spirituale innescata da fruttifere ma raramente percorse possibilità di confronto. Nel tempo, ho appreso che, con mente libera, è possibile sfuggire da una rigida concezione hegeliana di una storia intesa come progresso inevitabile e inarrestabile (le “magnifiche sorte e progressive” criticate da Giacomo Leopardi) e che questo tanto più valeva in un campo artistico dove i “progressi” appaiono difficilmente misurabili se, ancora oggi, leggiamo Omero, William Shakespeare e Thomas Mann e apprezziamo le sintesi lineari della pittura vascolare greca come quelle di Piet Mondrian. Dall'Informale si può risalire a Claude Monet e alla ceramica Raku; da Francis Bacon a Francisco Goya e a Diego Velasquez; dall'architettura minimalista a quella cistercense; dalla prima ceramica di Galileo Chini ai Preraffaelliti, a Botticelli e ai Della Robbia; da Scipione alla Roma barocca; da Lucio Fontana al “gran teatro” di Lorenzo Bernini; dal Futurismo all'Art Nouveau; dagli oggetti d'uso in grés di Franco Bucci e Nanni Valentini a una antica tradizione mediterranea; da Picasso all'arte primitiva, solo per fare alcuni esempi. Invece che come terra di approdo di precedenti itineranze, il presente artistico può essere inteso, anche propedeuticamente e didatticamente, come molo di imbarco per sorprendenti ricognizioni nel grande oceano di un passato dotato, se riscoperto, di pari poteri di attualità comunicativa.
Di grande conforto è stato il vedere allestite nella stessa sala della Tate Modern opere di Claude Monet e di Richard Long.
E' per questi motivi che l'operazione di lettura della ceramica artistica contemporanea in atto a Certaldo ci sembra pienamente condivisibile e, anzi, da indicare come via per altre analoghe esperienze. Non si tratta certo di una esclusiva novità, e prova ne siano le splendide mostre di ceramica moderna allestite nella Basilica Palladiana di Vicenza o in altri luoghi storici italiani, ma ne auspichiamo una sorta di radicalizzazione con intenti non provocatori ma metodologici. Non dettato dall'occasione o da finalità puramente, o vuotamente, scenografiche, l'incontro dell'arte contemporanea con l'antico dovrebbe essere maggiormente meditato e consapevole: accademiche certezze e moderni dubbi potrebbero giocare una avvincente partita. Si tratta, inoltre, di un test difficile da superare: chi, se non Henry Moore, potrebbe uscire indenne da un confronto con i sereni spazi che ospitano la grande statuaria classica? Anche Guernica è un peso massimo che può aspirare al titolo. Non sono forse stati, per converso, gli interventi moderni di Carlo Scarpa a rivitalizzare gli spazi di Castelvecchio a Verona evitandogli la sorte di tanti altri “scatoloni” storici, appesantiti e devitalizzati proprio dai cosiddetti restauri “scientifici”? Aprendo le porte e le finestre del “museo”, e quindi della memoria, alla contemporaneità si verrebbe ad abbattere una pretestuosa cesura e a innescare un vivificante meccanismo di rimbalzi senza fine. In campo ceramico si scoprirebbero traiettorie che, per uso di stessi materiali, di simili tecniche, di forme, di colori o di apparati decorativi, travalicano epoche storiche e precise perimetrazioni geografiche o culturali, per non parlare dei dialoghi con l'architettura, la scultura, la pittura e altre forme di espressione, più o meno “basse”. Nulla è scritto, o almeno in via definitiva e una volta per tutte.
A questo sollecitante compito ci pare che nessuna delle sei presenze a Concreta 2008 si sia sottratta.
Lee Babel è di origine tedesca ma da anni lavora anche in Italia. Una particolare vocazione a un rapporto con lo spazio è evidente in tutta la sua opera. Utilizzando blocchi conformati geometricamente secondo moduli liberi e mai schematici e con l'antica sapienza e pazienza di un lapicida delle grandi cattedrali, ha costruito frammenti di più ampie composizioni architettoniche virtuali. I suoi sono suggerimenti di perfezione tecnica ed esecutiva che rimandano ed evocano complessi immaginifici di cui si limitano a definire, un po' come fece Biagio Rossetti a Ferrara, i capisaldi. A volte, ad emergere tematicamente nel suo lavoro è il tema della porta, intesa come elemento di definizione dello spazio e del vivere e non solo come inerte vuoto che permette un inconsapevole passaggio. Altre volte è la stufa che nella tradizione centro-europea ha svolto un ruolo centrale nella abitazione domestica, simile a quello affidato da F.L.Wright ai suoi camini in pietra che richiamavano l'unica parte solida delle case in legno dei pionieri. Altre volte ancora si è dedicata al tema del pilastro, della finestra, dell'arco e della trabeazione. Spesso le sue installazioni architettoniche sono abitabili, o consone all'abitare interno ed esterno, e invitano a superare quella distanza che inevitabilmente si frappone fra la scultura e l'osservatore. All'origine di questa vocazione tettonica, forse, i ruderi delle strutture portanti degli edifici distrutti durante il secondo conflitto mondiale: testimonianze altere, proprio perché sopravvissute al martirio, di una vita bruscamente interrotta di cui riportano i segni: i vuoti delle porte e delle finestre, le tracce di scale, i riquadri colorati delle pareti di stanze che non esistono più. In omaggio a queste memorie i suoi colori non sono mai accesi ma tendono, piuttosto, a ridursi a quelli delle terre dimenticando le combustioni e rivestendo tutto, quasi per opera di un pietoso risarcimento, con smalti tenui e teneramente poetici. Come per altri artisti centro-europei attivi in Italia nel Novecento, il bagno nella solarità mediterranea è risultato quasi accecante e le sue pur solide e stereometriche sculture sembrano quasi stemperarsi nei colori del cielo e della natura circostante: un inno alla possibilità di un vivere caldo, calmo e circondato dai segni di una qualità senza tempo, nonostante tutto.
Ingrid Mair Zischg lavora con le terre dai primi anni Ottanta e proviene da ricerche pittoriche di carattere polimaterico. Il suo approccio alla ceramica è stato di tipo quasi viscerale in quanto, sul solco di una moderna tradizione, ha identificato nei processi ceramici il traslato di atti formativi, quasi iniziatici, della personalità umana. Di qui le sue ricerche sulla ceramica Raku e la predilezione per forme quasi primordiali che ci ricordano la sorpresa dei nostri progenitori all'atto della creazione, in parte involontaria, dei primi oggetti in terracotta. Si trattava di contenitori quasi sacri in quanto, contenendo e conservando il cibo, permettevano il protrarsi della vita stessa di piccole comunità sperdute in un mondo inospitale e avverso. Cavi e rotondi come il ventre di una donna incinta o come un seme o un frutto maturo spaccati a metà, questi oggetti non sono, in sostanza, eccessivamente variati nei millenni. Sull'”ansa del vaso” si sono esercitati filosofi, artisti, designer e storici dell'arte ma nel ricordarci l'importanza del vuoto in essa contenuto ci sembra ancora definitiva la frase del Tao Te Ching: “Si ha un bel lavorare l'argilla per fare vasellame, l'utilità del vasellame dipende da ciò che non c'è”. Intendendo dire, con questo, che per quanto sia indispensabile l'argilla per fare vasellame, è lo spazio vuoto all'interno a costituirne il pregio. Le sue sculture, coniche o sferiche, aperte o chiuse, ci invitano a superare le apparenze e a scoprire i segni del vero “valore” nell'intimo delle materie e in quanto possono ospitare e contribuire a svelare. Nelle opere presenti a Certaldo si nota il cessare, o almeno l'attenuarsi, di pulsioni simboliche fortemente espressive o legate a mondi tribali e il placarsi di queste urgenze in forme semplici che sembrano quasi corrispondere, per esilità e sottigliezza, con il solo colore. Un colore che coincide spesso con quello delle terre di origine ma alle quali l'uso calcolato dell'oro zecchino conferisce accenti di nobiltà. Al limite della immaterialità, quasi sul punto di frantumarsi, come sottolineano le profonde craquelures, le sculture di Mair Zischg riportano l'attenzione su quanto non vediamo o non apprezziamo più, compreso lo spazio apparentemente “vuoto” che ci avvolge.
Lisa Nocentini ha esordito in campo ceramico interessandosi all'oggetto. La cultura “bassa” dell'arte popolare, contaminazioni figurative e utilizzo paritetico di vari altri materiali hanno concorso all'enucleazione di questa sua prima produzione. La sua proposta più caratterizzante è, invece, quella più recente che l'ha vista dedicarsi a sculture di carattere figurativo che sembrano uscite da un bestiario medievale. I “mostri” che percorrevano i capitelli, i portali e le pareti in pietra delle cattedrali romaniche e gotiche si ripresentano alla modernità con figure mutile o composte da parti umane e animali: cani e uccelli con testa umana, corpi attraversati da pesci che sostituiscono le braccia, compenetrazioni e combinazioni uscite dal gabinetto di un chirurgo pazzo e al limite dell'onirico e del surreale. Il colore, vivace e acceso, e una vena ironica distolgono parzialmente l'attenzione dagli aspetti più orrorifici di questa proposta visionaria contribuendo a una sorta di opera di rimozione di perduranti incubi e di ataviche tensioni interiori. Quando fittamente raccolti in cassette, questi esseri alla Hieronimus Bosch innescano tra di loro rimandi e relazioni non solo visive; quando assumono il carattere della scultura vera e propria appare ancora più evidente la loro “diversità” dai modelli di una levigata, zuccherosa e patinata visione del reale, oggi imperante e quotidianamente imposta, con effetti placebo, dai mezzi di comunicazione di massa. La forza d'urto contenuta nelle opere di Lisa Nocentini trova probabili riscontri in esperienze ceramiche quali quelle Andrea Parini e di Federico Bonaldi ma dimostra di saperne continuare i propositi stemperando un comune anarchismo visivo e rustici brutalismi con opere in cui il desiderio di racconto risulta accattivante e, spesso, anche indulgente. In questa ricerca di una possibilità di “creatività bassa” la cultura ceramica popolare, spesso dissacratoria e irriverente, ha dato notevoli contributi e Lisa Nocentini vede in essa un ancora fertile humus per una proposta contemporanea felicemente inserita nel grande solco di una antica tradizione, immeritatamente considerata marginale, che ancora attende adeguato riscatto.
Donna Polseno si è precocemente dedicata alla ceramica dopo iniziali interessi per la pittura. A Certaldo presenta sculture il cui tema iconografico privilegiato è la semplificata versione di un corpo femminile che regge un vaso o una ciotola alla sommità del capo. Di carattere simbolico, queste sculture ripropongono antiche figurazioni che affondano nella notte dei tempi della prima avventura umana. Mutile come le statuette delle Veneri del Paleolitico (spesso con gli arti superiori estremamente semplificati) le sue sculture ne riprendono le attenzioni privilegiate per forme sovrabbondanti con una forte esasperazione del ventre e delle cosce contenitrici del sesso generatore di vita. Anche in Polseno si registra una stessa ipertrofia deformante della zona del bacino che se da un lato accenna a originari culti legati alla fecondità e alla procreazione, dall'altro conferisce alle figure una forma a losanga che rende evidente una volontà di astrazione della realtà in pure forme plastiche. Messe a guardia del focolare o della vita domestica queste antichissime statuette di culto sono tra i precursori della Magna Mater di età storica e troveranno ulteriori momenti di sviluppo in varie tradizioni culturali e religiose, non esclusa quella cristiana legata alla figura della Madonna madre di Cristo e al suo ventre virginale. La tradizione ermetica, e con essa autorevoli artisti come il Parmigianino, si è dedicata a tessere relazioni tra il ventre della Madonna e il Vas in cui avviene un Opus che ha per fine non tanto la perfettibilità delle materie più umili verso l'oro quanto piuttosto una maturazione interiore di cui è rappresentazione simbolica. Figura femminile e vaso trovano in Polseno attualizzazione pur nel visibile riferimento ad antichi riti e miti. A soccorrere in questa interpretazione concorrono anche i decori graffiti sui corpi femminili e sui vasi: motivi ad andamento curvilineo o circolare che riprendono sintesi grafiche di area non solo mediterranea con riferimento all'acqua, altra fonte, universalmente riconosciuta, della vita. Senza volto e senza arti, le sculture di Polseno non concedono nulla a una precisa identità anatomica come non necessitano di elementi relazionali di supporto; isolate su uno sfondo vuoto, fluttuano nello spazio richiedendo attenzione per ciò che è essenziale e significativo. Non necessariamente per quanto è reale o visibile.
Aldo Rontini è un artista consapevolmente inattuale. Fin dai suoi esordi all'Istituto d'Arte per la Ceramica di Faenza ha manifestato predilezioni e attenzioni nei confronti di maestri, allora, ormai quasi dimenticati da una critica superficiale e connivente con le maldestre espressioni di una modernità ceramico-artistica oggi, sempre più, in odore di facile pressapochismo. I suoi riferimenti ideali andavano invece, senza eccessivi consensi e manifeste incomprensioni, ai grandi scultori del Novecento italiano tra le due guerre, Domenico Rambelli, Arturo Martini e Angelo Biancini in primis, e via via fino alla scultura barocca e rinascimentale, con qualche affondo anche nell'arte classica. Dotato di rare capacità di perizia plastica, Rontini ha da sempre dialogato con la grande tradizione scultorea italiana riservando agli stimoli della contemporaneità un compito di attualizzazione iconografica ma mai di negazione di un antico ideale di perfezione e di forma. Una forma e una sua declinazione in chiave figurativa, narrativa ed evocativa, tuttavia, che oggi non possono ripresentarsi che sotto l'aspetto del frammento, del dettaglio e dell'allusione mancando loro sostegno ideale e condivisione culturale e immaginifica da parte di una società ben diversamente orientata. La sua poetica illusione ha, tuttavia, solide e centenarie fondamenta. Con il più umile e il più nobile dei mezzi espressivi, la terracotta, Rontini ha perseguito una solitaria via tra le asperità del presente sapendo sempre ricondurre le sue espressioni scultoree nell'alveo dei più ampi e autorevoli consessi artistici della storia e contribuendo ad elevare a dignità d'arte e di sentimento anche manifestazioni relegate nell'ambito delle “arti minori”: devozionali, decorative, popolari o marginali esse siano o appaiano, ancora oggi, come tali. I suoi cuori ex voto ingigantiti e trafitti, i suoi nudi maschili deformati e troncati, i suoi torsi che si diluiscono in barocche movenze plastiche arrossate dal colore di una materia infiammata da un cocente tramonto estivo o da un incendio recano i segni di una tensione e di una febbre quasi manieriste. Quella malinconia che connota l'arte classica fin dall'Ermes di Prassitele, nel segno del rimpianto di una mitica età dell'oro o dell'Arcadia in epoche classiciste, si è in Rontini modernamente somatizzata. Di questa stessa febbre hanno sofferto anche Pontormo, Rosso Fiorentino e, più vicino a noi, Scipione e Leoncillo.
Betty Woodman, pur avendo utilizzato mezzi espressivi ceramici, può vantare una carriera artistica talmente ricca da un punto di vista espressivo e densa di importanti riconoscimenti a livello internazionale che la connota come una delle più importanti artiste contemporanee. Per molti anni si è interessata alla forma del vaso e dell'oggetto traendone occasioni per libere erranze nel campo della scultura e della pittura. Sorpassando programmaticamente i confini usualmente imposti alle diverse discipline artistiche ha dimostrato una rara capacità di innovare linguaggi ormai a rischio di stereotipazione con innovative dosi di libertà concettuale. Sul solco tracciato da grandi maestri del secolo scorso, Woodman ha liberato l'arte della ceramica da presunte autonomie, da aristocratiche separatezze e da specialismi che, in qualche modo, hanno notevolmente contribuito a sortire effetti contrari a quelli auspicati: la ceramica, ancora oggi, stenta, pur vantando alti esempi, ad entrare nelle storie generali dell'arte, non solo del Novecento. Superando confini e abbattendo barriere Woodman ha cancellato linee di confine più segregative che protettive. A Certaldo, l'artista espone opere frutto della sua ricerca più recente: tre grandi tele dipinte alle quali sono sovrapposti elementi ricavati da lastre in terracotta. Pittura e scultura si fondono, astrazione e figurazione trovano paritarie occasioni di affermazione, quanto era oggetto tridimensionale diviene memoria di se stesso in grafiche sintesi di aspetto quasi bidimensionale. Il tono generale delle opere rimanda ai momenti più felici dell'ultimo Matisse, attivo anche con la ceramica e il vetro nel Midi, ma più complessi sono i riferimenti ai più recenti fenomeni artistici e, in particolare, al proprio lavoro precedente. I lacerti ceramici compongono una sorta di grande natura morta con vasi, steli e fiori che emergono da fondi astratti che ricordano, comunque, tessuti, finestre ed elementi di un ambiente caldo e solare. Giunta a una consapevole maturità espressiva, l'artista sembra quasi interrogarsi, tra disegno, pittura e materie, sulla primogenitura del reale. Comprimendo i suoi vasi e quanto essi contengono abitualmente in una forma piana l'artista ne ricerca l'essenza cui non manca, però, l'adeguato supporto di memoria della materia originaria. Il colore, estrapolato, diviene controcanto di questa estrema riduzione formale. Il tutto con la leggerezza più tipica del capolavoro. Una lezione magistrale per chi considera la ceramica una disciplina specifica e non un linguaggio aperto a tutte le possibilità.
Nelle antiche stanze del Palazzo Pretorio di Certaldo queste sei espressioni della ceramica contemporanea trovano echi seducenti in un fitto gioco di rimandi tra un passato e un presente vicendevoli e stretti allo stesso compito: esaltare le meraviglie dell'arte.
 
 
Arch. Franco Bertoni è esperto delle Collezioni Moderne e Contemporanee del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza e docente di Progettazione all’ISIA di Faenza. Nel 2005 ha pubblicato con Jolanda Silvestrini Ceramica italiana del Novecento, Electa Mondadori.

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